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il sommergibile Nichelio

Nota dell'autore

In questo libro ho raccolto molti frammenti della vita di mio padre durante la seconda guerra mondiale e li ho disposti in una cornice immaginaria, ho cercato così di ricomporre un mosaico raffigurante la sua vita e quella dell’equipaggio del suo sommergibile: il Nichelio.
La ricerca è stata condotta su documenti e testimonianze pubblicate su internet, foto e documenti personali di mio padre; il risultato ottenuto è un quadro abbastanza dettagliato delle loro esperienze in quegli anni terribili, ma certo è incompleto perché i lavori di ricerca non terminano mai.
Scrivendo questo libro ho cercato di rivolgermi non ai sommergibilisti o agli storici, ma alla gente comune come lo sono anch’io. Mi rivolgo quindi ai miei parenti, a mia figlia, ai nipoti vicini e lontani ed alle persone comuni, per raccontare loro la storia di un uomo, di un equipaggio e di un sommergibile appartenuti ad un’epoca che si sta allontanando sempre più. Non me ne vogliano gli esperti per le mie imprecisioni e carenze, mi accontento di aver dato un contributo anche se piccolo ed imperfetto.
Mi auguro di essere stato utile a qualcuno ed anche di poter aggiungere altre tessere a questo mosaico, grazie al contributo dei figli dei protagonisti che vorranno rendermi disponibile il loro materiale ed i loro ricordi.

 

Antonio d’Abbieri

 

Perché questo libro

 

A volte sembrava che mio padre volesse raccontare qualcosa della guerra e della sua vita in mare, quando era Radiotelegrafista sul Sommergibile Nichelio. Ricordo che iniziava il discorso dicendo che i tempi di allora erano bui e che la guerra era stata assai brutta; poi improvvisamente cambiava tono, come se le ombre del passato lo turbassero, chiudeva rapidamente il discorso e tornava a parlare di cose meno tristi, mentre gli occhi di mia madre trasmettevano il sollievo per lo scampato pericolo.
La voglia di raccontare si manifestava preferibilmente nelle giornate festive intorno a Natale, quando si era riuniti attorno ad un tavolo con parenti ed amici per mangiare e giocare in allegria; non erano certo quelli i momenti giusti per rattristare i presenti rievocando i tempi della guerra. Mia madre riusciva a fermarlo in tempo con uno sguardo, salvando la piacevole conversazione leggera che si faceva attorno al tavolo con la tombola, i lupini per segnare i numeri, ed i mucchietti di monete. Faceva bene la mamma, anche se io restavo deluso perché desideravo conoscere più a fondo la vita di mio padre e sapere tutto della guerra, dei sommergibili, dei siluri e delle navi. Il passato di mio padre era un mondo affascinante e misterioso, anche dopo la guerra, la sua vita è sempre stata avvolta da un’affascinante alea di segreto.
Con un atto d’amore mio padre ha nascosto a noi figli gli orrori della guerra, così a me non son rimasti che miseri e frammentari racconti di quegli anni ed ora mi rammarico di non aver mai incoraggiato mio padre a parlare, ad aprirsi di più con noi figli, ad allentare un poco la protezione dalle brutture del mondo le quali, ormai grandi, avevamo conosciute da altre fonti.
Gli sarò sempre grato per avermi protetto, come solo un padre sa fare ed ora desidero ricambiarlo portando alla luce la sua storia e quella degli altri ragazzi, nostri padri e nostri nonni, che con lui hanno condiviso momenti assolutamente indimenticabili, affinché il ricordo delle loro imprese non si perda tra la polvere del tempo. E’ un omaggio al loro sacrificio, alla loro tenacia, al loro coraggio ed alla loro capacità, senza la quale non avrebbero potuto conservare quel bene immenso che è la vita.

 

 

CAPITOLO 1 - I ricordi di mio padre

In questo capitolo ho raccolto i racconti di mio padre e li ho inseriti nel quadro complessivo, unendoli e confrontandoli con i dati raccolti da altre fonti. Ne viene fuori uno spaccato della vita reale in quegli anni di guerra, anni che ci sono stati raccontati sommariamente dai libri di scuola, spesso edulcorando la realtà ed ancor più spesso omettendo intere vicende che hanno invece avuto un peso enorme sulla generazione dei nostri padri e nonni. Come giustificare la mancanza di informazioni sul sacrificio di migliaia di uomini che hanno combattuto in mare e ne sono stati inghiottiti? Solo tra i sommergibili abbiamo avuto 125 battelli perduti col sacrificio di quasi 4000 uomini. Nel dopoguerra c’era voglia di dimenticare, ma ora, dopo più di 70 anni, forse è tempo di recuperare la memoria di quei tempi, di quei fatti e di quegli uomini giovanissimi per passarla alle future generazioni.
Il sommergibile Nichelio è stato uno dei pochi a sopravvivere al conflitto, infatti dei 156 sommergibili della flotta, soltanto 31 tornarono alla base, 28 furono catturati o sabotati dopo l’armistizio, 9 furono radiati nel corso del conflitto, 88 furono affondati in vario modo ed i loro equipaggi perdettero in massima parte la vita.
Questi sono i nomi dei 31 battelli superstiti:
Alagi, Atropo, Bandiera, Bragadin, Brin, Cagni, Corridoni, Dandolo, Da Procida, Diaspro, Galatea, Giada, H-1, H-2, H-4, Jalea, Mameli, Manara, Marea, Menotti, Nichelio, Otaria, Onice, Pisani, Platino, Settimo, Speri, Squalo, Turchese, Vortice, Zoea.
Il sommergibile Nichelio aveva un equipaggio formato da 4 ufficiali e 40 tra sottufficiali e marinai. Il merito della loro sopravvivenza è dovuto alla bravura del Comandante Claudio Celli e di tutto l’equipaggio, che rispondeva con precisione agli ordini, costituendo un corpo unico col sommergibile. Almeno in un episodio la fortuna ha giocato un ruolo determinante, ma non si può negare la capacità di quegli uomini perché la fortuna può arridere una volta, non per tutta la guerra.

Ricordo mio padre quando diceva che c’era una specie di “mano potente” che li proteggeva perché erano scampati tante volte alla morte che sembrava loro un miracolo. Anche Luigi Rapalli, imbarcato con mio padre, nel suo racconto usa la stessa espressione: “mano potente”. Evidentemente tutto l’equipaggio, dopo aver vissuto quelle esperienze terribili, le ha riportate con le stesse parole usate allora. Sembra quasi di sentirli quegli uomini, stretti gli uni agli altri per la paura e la tensione, ringraziare la “mano potente” che li aveva salvati ancora una volta dalle bombe e dai siluri.

Il 17 gennaio 1943 il Nichelio fu colpito da una bomba lanciata da un aereo, ma questa non esplose; fu dunque una grande fortuna ma il mitragliere del Nichelio riuscì a colpirlo ed a metterlo in fuga, impedendogli di continuare l’attacco, e questa fu certamente abilità.

Mio padre riconosceva al Comandante Celliuna grande preparazione manifestata durante il lungo imbarco sul Nichelio. Da giovane, col grado di Guardia Marina, Celli era stato imbarcato sul sommergibile Enrico Tazzoli, agli ordini del Comandante Carlo Fecia di Cossato, un asso dei sommergibilisti con 17 imbarcazioni nemiche affondate, a cui fu conferita la medaglia d'oro al valor militare. Fecia di Cossato volle sul Tazzoli un equipaggio composto da soli volontari ai quali disse prima di partire: “Se qualcuno vuole sbarcare lo dica subito. Io intendo partire con gente pronta a tutto”. Fu dunque sul Tazzoli che il Comandante Celli si fece le ossa, imparando da un maestro di tutto rispetto.

La caccia

Quando il sommergibile si portava a quota periscopica poteva controllare l’area circostante col periscopio di esplorazione; non appena individuava una nave nemica o un convoglio passava al periscopio d’attacco per inquadrare il bersaglio, si portava a distanza ravvicinata di 4000, 2000 o anche 1000 metri e lanciava uno o più siluri contro di esso.
Mirava un po’ più avanti del bersaglio dopo aver calcolato la sua velocità, la distanza e la velocità dei siluri, aiutandosi con una tabella. I nostri siluri erano espulsi dai tubi di lancio con l’aria compressa la quale produceva una grossa bolla molto visibile. Anche la propulsione del siluro era ottenuta con aria compressa, di conseguenza la scia prodotta era ben visibile a distanza e consentiva al nemico di localizzare la posizione di lancio e scatenare contro il sommergibile le navi cacciatorpediniere e le motosiluranti. La scia prodotta dai siluri permetteva alle navi veloci di manovrare in tempo per evitarli. Tutto si giocava in pochi secondi infatti il sommergibile non aveva nemmeno il tempo di controllare il successo dell’attacco perché era necessario immergersi rapidamente per sfuggire alla caccia che cominciava subito dopo il lancio. L’equipaggio del sommergibile azionava la rapida per immergersi velocemente poi aspettava le esplosioni dei siluri per sapere se il bersaglio era stato colpito. I nostri sommergibili erano piuttosto lenti ad immergersi, impiegavano tra i 60 ed i 100 secondi contro i 30 di quelli tedeschi. Si sviluppò allora una tecnica chiamata “rapida dinamica” che usava le casse di assetto per inclinarsi in avanti ed i timoni di profondità e la velocità per tuffarsi letteralmente in mare. Si fecero anche allargamenti delle valvole e degli sfoghi d’aria per far entrare l’acqua più rapidamente nelle casse. In questo modo la velocità d’immersione si ridusse a 40 secondi ed anche meno nei sommergibili della classe 600.

 

Fine del brano di valutazione

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