Il Piccolo Biko
Il paese non mostrava nemmeno tracce remote di una cultura locale,
insomma San Luca era un paese sterile, anzi morto, dove non nasceva
nulla che fosse arte, cultura, legalità o civiltà, al punto che se oggi
cercaste un rudere di una vecchia chiesa sconsacrata, ebbene non lo
trovereste, e neppure trovereste le vestigia di un piccolo anfiteatro
greco o romano, di una torre saracena, niente di niente.
Don Mimì Roscione a San Luca era il capo bastone. Amministrava la
giustizia, faceva la Legge e la faceva rispettare, ma non con i
Carabinieri, bensì con i suoi campieri che avevano facce da delinquenti
appena fuggiti dalle italiche galere. Don Mimì teneva pure un gregge che
godeva del diritto di libera circolazione e pure di devastazione,
infatti, quando le sue capre s’arrampicavano sugli alberi per mangiarsi
le olive, nessuno protestava se voleva evitare spedizioni punitive.
Don Fefè Corretti era un notabile potente. Malgrado l’ingannevole
cognome era pericoloso come un serpente velenoso e chi s’era opposto al
suo interesse le nerbate ancora portava impresse. Lo sapeva bene il
conte di Chiaromonte a cui Don Fefè aveva sfilato il feudo più vasto,
lasciandogli solo quello di Bivona e un paio di cicatrici sopra il petto
che ancora offendono l’orgoglio del poveretto.
Di questi due campioni la gente del posto non era certo migliore, perché
nel petto aveva lo stesso perfido cuore, in più soffriva d’invidia e
aveva strane pretese come prendere il potere e governare il paese. I più
tranquilli erano i vecchi che non avendo né fiato né forze si limitavano
a bestemmiare e a mormorare: “A
San Luca non ce so’ Santi perché Mimì e Fefè se li so’ magnati tutti
quanti”, dicevano i vegliardi soffiando tra i pochi denti
rimasti.
“Arida la terra e aridi i cuori a San Luca vivi male e poi muori”,
rispondevano puntuali le vecchiette come se recitassero un pagano
rosario.
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